03/01/11

New year (happy)

03/01/11
C'era
il solco delle tue gambe in cui rifugiarsi
il materasso ha già perso la forma
mi resta l'odore.
Buon anno ti dicono in piazza
ed alla tv buon anno
mi dici anche tu
salutando.

Signorino futuro guardando negli occhi lucenti di mille palazzi
nei fuochi dei tanti falò che per aria riluciono e bruciano e sanno di eroi consumati,
fino all'alba di stomaci abnormi
di voci assurde
epifanie di ubriachi che scopano buche d'asfalto
che allargan le gambe ai buoni propositi già violentati anni fa,
aspettando che anche domani si porti già via quel po' di onestà che uccidiamo
ogni giorno anche in noi
accendendoci sigarette di sogni rubati bruciati ad un palmo dal naso
guardando la cenere rossa e odiando l'odore di morte che fa,
salutando il mattino di quest'anno nuovo con un cappuccino raffermo di
schiume d'amori avariati gonfiati soffiati
lontano nell'aria che immobile assorbe ogni brutta escrescenza di noi,
dimmi: cosa vedi?

Da oggi e per quindici giorni
indosso di nuovo gli occhiali.
Crudele è tornare a vedere lontano
quando non c'è più niente da amare.

Signor anno nuovo ascoltando promesse dei pazzi
stappando bottiglie dei nostri ricordi e brindando ai favori e ai nottambuli morti,
vedendo che qui ce ne stiamo addossati
ai recinti dei topi d'annata dei visi di cera,
che c'era
un domani lontano fintanto che eri bambino,
e i nostri eroi di gioventù muoiono uno ad uno
o imborghesiscono e non sanno invecchiare,
se senti bruciare
candele d'amplessi che sciolgono lente le nostre ipotetiche virtù
ed i vizi capitali nessuno li usa più,
se i buoni propositi intasano cessi e tombini
come aborti spontanei,
dimmi: che ci fai qui?

Se comincio a contarti i capelli
tra un anno sarò ancora qua.
Il mio primo capello bianco è arrivato,
è bello invecchiare così da neonato.

Signorina speranza a lei do del lei.
E non domando nulla, che se risponde è già morta.
Perchè l'ignoranza è la sua proprietà.
Lei non sa nulla ed io sto con lei.
Mi piace pensare che quello che sogno
lo sa.

Rapsodia ferroviaria

C'era la luce scintillante della Neva nei tuoi occhi
c'eran salotti e ristoranti per scaldarci
ed alcove incandescenti per amarci
pellegrini sulle orme di Raskolnikov
oh compagno Feodor che cantasti dei nostri viaggi e miserie già
secoli fa.

E poi lui che aspettava imbalsamato ed abbracciò la mia solitudine fredda
di una notte con le dita congelate nella piazza
ed io scrivevo a un'ombra che era lì come sempre e mi danzava attorno.
C'erano grigio e cemento
c'erano sangue e lamento risuonante
nel rimbombo scalpicciare di albe e sol levanti
e sogni ritardatari che ti svegli ed è già tardi.
E ferro e legno ed il suono delle traversine che fa
tu tun tu tun
tu tun tu tun
tu tun tu tun
che mi culla e mi sorveglia che mi dondola i pensieri e che attorciglia
le budella del fragore che fa
avvertire la distanza nei chilometri che passano e allontanano e avvicinano.
Come anime incastrate in un pacco di sardine
di lamiera e luce il serpente che va e nel nulla non perde la strada
il binario rimbomba e il mio cuore galleggia e fa
tu tun
tu tun.

Ferrovetro e cemento si innalzano
è un Moloch che è fatto di sogni e li inghiotte e li mastica
è fatto di sangue e di fango che riempie i letti dei fiumi più lunghi del mondo
Volga Yenisey Amur Ussuri
arterie malate che nebbiano e girano in tondo.
Ed ora che è nell'aldilà che gli resta? Soltanto un buio ed un treno normale che va
sempre dritto e non ferma non si fermerà a raccogliere i sogni
di taighe malate di gelo
un Moloch ancor più crudele che ignora
doni e fedeli calpesta con passo pesante che fa
tu tun
tu tun.

Ed io.
Nel mezzo del nulla del freddo e del ghiaccio
mi affido ai ricordi lontani che tornano a passo di marcia portati dal vento nel vento leggeri
i pensieri non pesano e quelle che vedi son lacrime che stavano là ad aspettami
da troppo e quassù fra le rocce che furon di amanti e sciamani
mi tornano insieme alle voci lasciate a metà
e mi avvolgono grandine e vento e gli devo sfuggire nella barca insabbiata di un'epoca fa.
Nel buio della camminata notturna
ubriaco di vodka e di cielo
non voglio morire è il mio solo pensiero e il mio rito si concluderà
nel sudario del letto il sudore che sgorga abbandona le mie impurità
i conti in sospeso li ho chiusi e dormo nel caldo pensiero di rossa coperta
il tuo viso mi guarda e il mio cuore risponde col suono che ami e che fa
tu tun
tu tun.

Quante vite ho vissuto ogni viaggio
la bolla che dentro il vagone ti avvolge è un pianeta che caldo attraversa le sponde ghiacciate
d'immobili fiumi nel sonno di un bianco nitore
che ammorba e rilassa e ipnotizza e mi salva
il mio amico Roman
che mi pizzica e gioca con me
ed anche se non ci capiamo sa tutto di me e perciò mi tormenta non mi lascia stare
non lascia che il treno mi porti con sè dentro il limbo di anime andate
nel tempo che batte e che fa
tu tun
tu tun.

E poi statue rivolte al futuro e deserti e guardie
e odore di pesce e di smog
di sudore dei freni
del ghiaccio e del the
e rifiuti coperti da fango e da nuovi grattacieli colorati
armati di tutto punto in posa per i giapponesi nemici di un tempo che fu
i monumenti che inneggiano ai morti ed il sangue che ancora non secca
sparisce ogni ombra passata alla luce dei flash
modernità apotropaica che tutto ricopre e guarisce
e soltanto chi resta nel buio capisce che forma e colore non sono gli stessi
ma inganno e dolore son sempre più grossi.

E qui
c'è tutta l'acqua del mondo e tutto il buio
e il dolore e la vodka ed il chiasso ed i sogni irradiati da qua
e la morte sepolta a migliaia nel fango ghiacciato che guardo
non è altro che il mondo che va e che osserva ma sempre
al caldo e dietro al finestrino.
C'è un gioco e c'è un bambino
e c'è un sogno cullato tu tun
che riscatta il mio culo immobile e sazio
e mi porta leggiadro cadendo tu tun
più leggero a salpare dal molo
a solcare la baia del Corno
a tornare da te che mi aspetti
invecchiato cent'anni
cent'anni di storia e memoria
pellegrino di sogni speranze e ricordi
conquistato il far est
vita mia tu m'accogli
e raccogli i miei sogni ed li culli al suono del treno che a casa mi porta e che fa
tu tun
tu tun.

Rapsiodia nera

Lo sbuffo che fa il motore nell'estatica attesa noiosa che pesa
è come il saluto d'un amico che fu
che non rivedevi più e chissà da quanto
e sei pronto a partire
sei pronto anche a morire
e lo sai che dove stai andando puoi lasciarci il corpo o l'anima soltanto
e non tornerai indietro festeggiando
nè cantando
che è la vita e la morte che vai a trovare.

E facce e scheletri e denti bianchi e fango
e amore amore amore che li illumina soltanto
e non li ciba
la sfida dell'oggi al domani è quel che ti insegna
ti insegna a mangiare per terra
a giocare alla guerra
quell'uomo che guida
quell'uomo in divisa che spara anche a te.

Scivolavamo sobbalzavamo tremavamo
e tu con noi, che aspettavi la pensione ed invece sei rinata
che morivi in santa pace
e ora ti ammacchi e sputi pece.

Di notte ti paiono stelle che nera è la pelle che cade nel buio
e non vedi
ma solo le mille candele e i carretti e le lampadine
i passi di mille bambine che anche nel sonno non mi tolgo più da davanti
e sento le urla gli insulti i cadeau gli eccessi
che non scordi più
risento
quei canti sommessi
corano, le sure a memoria
o bibbie o erotica storia di un mondo che fu
e che annega e si nega e si soffoca nel cellophane.

Non sai a chi chidere scusa
e vedi quel folle gioire
di vita delusa.

Il caldo una notte laggiù
credevo uccidesse
non volevo partire mai più
risalire soffrire volevo soltanto sciogliermi anch'io e volare
evaporare nel vento del caldo africano
tornare lontano da lì e ignorare di esserci stato.
Perchè tra coperte e pistoni
e fughe e rincorse e assurdi autrogrill che ti vendono mais
o carne d'alieno di sabbia impanato
e spinte e bestemmie che stai impantanato
e bimbi che ridono e giocano perchè l'uomo bianco sei tu
tra puttane e palloni e tazze di the che san di radice
c'è una cicatrice annerita che è in te e lì resterà a dolerti,
ma solo a metà.

Quanto sangue
hanno visto i tuoi fiumi?
Quanti baci
han cullato i tuoi lumi?
Le tue urla strazianti nessuno può starle a sentire
io devo partire
ed è ora, il treno che parte s'annuncia
foreste e cascate
sudore di vite rubate
baraccopoli e furti già in vista
mi chiudo nel nulla e ti lascio
l'aero già solca la pista.

Rapsodia tanghera

Sta nel titolo, la tristezza del mondo
e tu, coi tuoi passi,
puoi solo declinarla
in nostalgia.
Gelosia di un domani all'oscuro
sicuro sparire scendendo dal bus
dove vai nella notte
lo sai solo tu.

Argentina suonava
la voce nel canto dei ghiacci
che rompono e urlano e tuffano e nuotano
a sud
a sud
sempre più a sud.

Potete immaginare lo stupore di quella canaglia di cane d'un marinaio
quando scoprì dopo tanto urlare e morire sette vite ancora
quell'oceano di silenzio.
Ed io galleggio nel mercurio, a passo di danza fra foche e trichechi
e non penso che ieri
ne fossi capace:
è il mio sangue mutato o il suolo che suona fatato?

E poi la tua voce laggiù, aggrappato al telefono fra occhi curiosi
è il vento del sud che mi fa lacrimare o sei tu
la tua voce argentina
che arriva in ritardo e da tanto lontano
non riesco a aspettarla
tanghero maldestro ti pesto le note
le sillabe non riesco a slanciare si incastrano in gola
mi fanno un po' male.

Son qua finalmente, li vedo i guanacos che saltano lungo la linea infinita d'asfalto e sembra
che inseguano nubi immobili e basse ma sempre lontane
non sali lassù
se non t'avventuri e non provi una volta a morire anche tu.

Che idea
provare a morire
in bicicletta impazzita
ti sfugge la vita
tanghero anche tu stai sull'orlo ed è
nostalgia che ti fa tirar via un attimo prima
del bacio
o del precipizio.

Nel bianco di vite rubate
e volti coperti
e pelli straziate
e schiene spezzate
è sempre il momento giusto
per stupirsi
o per morire.
C'è sangue e lo vedi
e ne coli anche tu sulle pietre che calchi
poi guardi laggiù e vedi
è la madre di ogni perduta città
beltà e viltà s'attorcigliano in danze ed è un tango
o un funebre fandango?

Ancora le note
di notte ritornano ed è come se tu
mon amì d'Exupery
volassi ancora una volta come ti vidi tra le nuvole un dì
di fatica e foschia e canti d'amore di periferia
e il mio zaino postale che vola con te
di rotta in rotta rovesciassi su me
nel tuo ultimo volo.